Nel mondo globalizzato e
iperconnesso, a far sì che le persone non imparino lingue diverse da quella
natale sono due fatti diametralmente opposti: da una parte c’è la marginalità
dei villaggi rurali e dall’altra, più incisiva, la centralità delle nazioni
anglosassoni con il loro diffuso atteggiamento quasi sgarbato nei confronti
delle lingue straniere.
Questo atteggiamento però è in
netta diminuizione. Perchè?
L’Economist difende il blinguismo
ed afferma che le persone che parlano due o più lingue sono più flessibili
perché possono applicare strategie diverse di pensiero. I bimbi esposti dalla
nascita a più lingue fanno qualche confusione all’inizio, ma già verso i
quattro anni sanno cavarsela perfettamente. Il rischio che abbiano un
vocabolario ridotto è limitato al periodo infantile, mentre i vantaggi sono
rilevanti, dimostrati, e durano per tutta la vita: i bambini bilingui sono più
precoci nel prendere decisioni e nel portare a termine compiti complessi.
Il bilinguismo concede anche
maggiore creatività, capacità di concentrazione, fiducia in se stessi,
attitudine a capire gli altri e a prendere buone decisioni in tempi brevi e con
sforzo minore.
Sembra anche – secondo svariate ricerche
- che sapere due lingue allontani di quasi cinque anni il rischio di Alzheimer indipendentemente
da ogni altra variabile (istruzione, sesso, occupazione). Inoltre le persone
bilingui hanno una gamma comportamentale più ampia e possono, cambiando lingua,
arrivare perfino a cambiare personalità.
Si diventa più brillanti e più
abili nel multitasking; la memoria e la percezione migliorano così come la
sensibilità linguistica e la capacità di decidere razionalmente.
Però attenzione! Qui si parla di
dominare due lingue e non di mescolare caoticamente in un discorso, parole
straniere a casaccio, e spesso a sproposito.
(Grazie a Anna Maria Testa e
Internazionale).
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