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13/08/2014

O Captain! My Captain!



Vi siete mai chiesti perché il finale di “Dead Poets Society” di Peter Weir , ogni volta, ci commuove? Ricordate? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola, lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «O Captain! my captain!».
Perché quella scena, invece di apparire enfatica, è così potente e universale? La risposta è semplice. Quella scena ci colpisce perché tutti sentiamo d’aver bisogno di un maestro. Sempre, dovunque, a ogni età. Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi la strada, senza spingerci: basta l’incoraggiamento. «Maestro» era l’appellativo, l’omaggio dei contemporanei ai grandi del Rinascimento. Oggi il vocabolo viene banalizzato: a scuola - dove qualche folle pensa sia meno prestigioso di «Docente» - e inflazionato nella vita quotidiana. «Maestro» non è un titolo ambito. Pochi sembrano interessati a conseguirlo.
«Si prova una grande gioia a incoraggiare il talento».
Quanti professori universitari, oggi, hanno voglia di diventare maestri? Quanti datori di lavoro pensano di dover dare, invece di continuare a chiedere; e insegnare, invece di limitarsi a giudicare? Quanti imprenditori e professionisti passano competenze e opportunità alle nuove generazioni, invece di considerarsi l’inizio e la fine di ogni cosa? Essere un maestro è un impegno: un’auto-certificazione di generosità. Esiste uno speciale egoismo contemporaneo che ha preso forme accattivanti. Qualcuno lo chiama individualismo; altri, realismo. Molti teorizzano la necessità di viziarsi, di salvaguardarsi, di pensare a sé. Esiste una specie di onanismo del cuore, e non è bello da vedere.
I maestri, di cui Robin Williams fornisce una poderosa interpretazione, offrono aiuto,  suggerimenti e ispirazione. Segnalano svolte e insegnano prospettive. Indicano una via e la illuminano: può essere una scala verso il cielo; o un passaggio sicuro nel bosco delle decisioni difficili. I maestri - quelli veri - non chiedono niente di cambio. La ricompensa è l’onore di trasmettere qualcosa, il piacere di aiutare chi viene dopo. Piacere gratuito; quindi, impopolare. Gli attimi fuggono, i gesti rimangono. Ecco perché il mondo s’è commosso, come non si vedeva da tempo in occasione della scomparsa di un attore. Non è solo la strabiliante abilità di Robin Williams che ci mancherà; non è tanto la sua strepitosa galleria di personaggi. Ci mancherà qualcuno che ci ricordi con passione, a colori, con poesia quanto abbiamo bisogno di maestri.

Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo. 


Grazie Beppe



Grazie Robin



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