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07/10/2014

Ministra!? Ingegnera!? Avvocata!?


Perché è tanto difficile superare le resistenze e pronunciare “architetta”, “chirurga” o “ministra”? Eppure maestra, infermiera o cameriera, da sempre quando svolgono lo stesso mestiere, distinguono le donne dagli uomini. Risultato, una grande confusione.
Si può dire ministra? E ingegnera? Esiste il femminile di questore? È meglio avvocata o avvocatessa?  E’ preferibile donna sindaco o donna ingegnere?
Di recente, è stata proprio l’Accademia della Crusca a pronunciarsi, autorevolmente, in tal senso. I termini corretti esistono e il loro uso è obbligatorio se si vuole fare un uso ottimale della nostra lingua. Il linguaggio contribuisce a costruire modelli culturali e quindi anche i modelli di “genere” maschile e femminile: per questo è molto importante nella lotta contro la discriminazione. I modelli di genere cambiano nel tempo: oggi, per esempio, è necessario che il linguaggio rifletta il tramonto del modello di omologazione delle donne al paradigma maschile e sostenga quello che si basa sulla consapevolezza delle differenze di genere fra uomini e donne. Un linguaggio che associa le caratteristiche femminili a modelli negativi (si pensi ai proverbi!), che nasconde la presenza femminile dentro le espressioni maschili (anche il Papa oggi aggiunge care sorelle a cari fratelli), che si ostina a usare la forma maschile dei titoli professionali e istituzionali di prestigio anche riferiti a una donna, è discriminante e perpetua una discriminazione di genere. E questo è anche contro la legge perché la recente Convenzione di Instanbul sancisce l’obbligo di «promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini».
Molti di questi termini sono nuovi, risultano poco familiari e di conseguenza sembrano difficili da usare: chirurga, prefetta, sindaca fanno riferimento a ruoli professionali e istituzionali che le donne rivestono da pochissimo tempo. Poi aleggia molta incertezza riguardo al fatto che si tratti di forme corrette. Questa resistenza rivela una diffidenza ancora diffusa ad accettare il riconoscimento di uno status sociale di piena dignità socio-professionale per le donne e, in termini più generali, una profonda resistenza a mutare i modelli di genere tradizionali.
Bisogna promuovere il linguaggio rispettoso del genere attraverso i media, le istituzioni, la scuola. Anche il linguaggio amministrativo ha bisogno di essere rivisto: i documenti hanno sempre un destinatario maschile, le cariche sono sempre rivestite da uomini anche se sono donne. Le donne devono essere incluse nella comunicazione istituzionale. Nella scuola, infine, c’è un gran bisogno di rivedere il linguaggio dei testi scolastici, comprese le grammatiche: usare il femminile in riferimento alle donne e il maschile per gli uomini rappresenta una vera e propria regola grammaticale, oltre a un modo per rappresentare donne e uomini in modo adeguato alla realtà. L’uso del genere grammaticale si acquisisce sin dalla prima infanzia.

grazie a Cecilia Robustelli

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