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31/12/2014

"Primo passo necessario per qualsiasi cambiamento: chiediamoci cosa abbiamo sbagliato, dove abbiamo fallito."


Mi domando se davvero sia possibile che ciascuno di noi si occupi del proprio contesto senza mai superare lo steccato. Ho molte volte detto che fare bene il proprio mestiere è il modo migliore per contribuire al funzionamento del meccanismo sociale, è già fare politica. Ma capita che non sia possibile fare bene il proprio lavoro. Capita che le condizioni siano talmente estreme che diventa necessario sconfinare, prendere parte al dibattito pubblico per provare (talvolta con scarsissimo successo) a modificare il corso delle cose. È possibile pensare che la società sia divisa per compartimenti stagni? Naturalmente no. Ho sempre ritenuto che l’importanza della letteratura risieda proprio in questo: essere spuria, bastarda, contaminata, uscire dal ristretto ambito dell’accademia. Ho sempre ritenuto che uno scrittore, ma anche un conduttore televisivo, un comico e chiunque abbia visibilità, debba necessariamente prestare quella visibilità a cause che ritiene giuste, necessarie, fondamentali. Debba farsi strumento, veicolo, tramite. Per la politica varrebbe la stessa regola ma continuare a sperare che ci arrivi da altri una possibilità di cambiamento, è il nostro più grande errore. È nostro diritto pretenderlo, ma allo stesso tempo dobbiamo costruirci una personale cassetta degli attrezzi. La rincorsa che si prende alla fine di ogni anno a fare promesse e dichiarazioni, è pari solo allo stallo cui poi assistiamo una volta scoccata la mezzanotte. Gli ultimi giorni di ogni anno sono pieni di propositi e chiunque abbia un pulpito pronuncia un discorso. Tanti propositi, ma scarsi poi i risultati. Tanti attacchi, ma pochissime assunzioni di responsabilità. Discorsi come parole in libertà cui non crede più nemmeno chi le ha scritte. Allora io preferirei udire qualcosa di simile a un anti-discorso, ovvero un discorso col segno meno e non alla fine dell’anno, come ad assolversi da ogni responsabilità, ma all’inizio del nuovo. Ovvero adesso. Cosa non abbiamo fatto nell’anno che si è appena concluso? Cosa non siamo riusciti a fare per mancanza di tempo o di risorse? Nella vita i fallimenti sono importanti perché ci fanno capire come modificare il passo. Cancellare, nascondere, insabbiare i propri fallimenti significa restare fermi al palo, significa non capire cosa va cambiato. Un fallimento insegna più di mille successi. Chi mi legge mi chiede coerenza, impegno, lealtà. Ed è esattamente quello che io chiedo a voi. Prima di cercare altrove i responsabili dei nostri fallimenti cerchiamo di capire quali sono le nostre responsabilità, solo così, solo pretendendo il massimo da noi riusciremo a pretendere il massimo da chi ci sta accanto e da chi ci governa. Assolvendo noi stessi, finiremo per assolvere tutti. Questa mia è una “call to action” che parta da noi: individuiamo il nostro segno meno, non lo dimentichiamo, usiamolo per migliorarci. Cosa avreste voluto fare e non avete fatto? Quali le vostre responsabilità nel fallimento? Capire è l’unico modo perché l’azione diventi efficace.

Grazie a Roberto Saviano

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