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26/06/2013

Il Brasile insoddisfatto








“A volte le contraddizioni di un intero secolo appaiono in un solo decennio”.


Parafrasando possiamo dire che in Brasile le contraddizioni degli ultimi 15 anni si stanno rivelando nell’ultima settimana.
Che succede allora in Brasile? 
Dall’arrivo al potere del Partido dos Trabalhadores, con la presidenza di Lula dal 2003 al 2010 e di Dilma Rousseff dal 1° gennaio 2011, gli sforzi di politica economica si sono concentrati sull’inclusione sociale di vaste masse di diseredati e hanno dato ottimi frutti. Ricerche stimano che in questo periodo quasi 40 milioni di persone siano uscite dalla povertà, grazie al successo di estesi programmi che hanno fatto del Brasile una referenza mondiale per questo tipo di politiche sociali. Ciò, insieme alle liberalizzazioni del governo precedente (i due mandati di Fernando Henrique Cardoso, tra il 1995 e il 2002), ha creato le condizioni per il balzo dell’economia brasiliana dell’ultimo decennio, basato sul circolo virtuoso del credito abbondante, accesso al consumo delle classi popolari, aumento dell’occupazione.
Allo stesso tempo, sia per sostenere la domanda interna, sia per sopperire a una delle storiche carenze, il governo del Pt sin dal 2007 ha avviato una serie di imponenti piani di investimenti in infrastrutture. Il Plano de Aceleração do Crescimento (Pac) sommato agli investimenti legati ai grandi eventi sportivi dei prossimi anni (Mondiali di calcio 2014, Olimpiadi di Rio 2016), hanno iniettato nell’economia brasiliana oltre due trilioni di reais (oltre un miliardo e mezzo di dollari), in progetti che comprendono edilizia residenziale, trattamento dei rifiuti, trasporti pubblici, energia, sgravi fiscali a settori di rilievo strategico, realizzazione di impianti sportivi.
Il modello però si è esaurito a mano a mano che l’economia ha assorbito la manodopera disponibile e l’inflazione, alimentata dalla domanda di beni di consumo e dalla crescente carenza di forza lavoro, ha iniziato a rialzare la testa.
Gli imprenditori, dal canto loro, da tempo lamentano una cornice sfavorevole all’investimento privato, causa imposizione elevata e caotica, burocrazia soffocante, corruzione, dirigismo statale, fattori che condannano il paese a un poco lusinghiero centotrentesimo posto nella classifica Doing Business elaborata dalla Banca Mondiale. 
Il dilemma, che paralizzerebbe qualsiasi decisore di politica monetaria, tra privilegiare occupazione e crescita, oppure il controllo dell’inflazione, è acuito in Brasile dall’approssimarsi delle elezioni presidenziali, fissate per l’ottobre 2014. Il ricordo dell’iperinflazione di fine anni Ottanta è troppo recente perché la presidente uscente possa permettersi il rischio di un avvio di campagna con i prezzi fuori controllo. Fonti citate dal giornale Folha de S. Paulo riferiscono che una caduta di 10 punti nella popolarità della presidente Dilma, ha determinato un deciso mutamento di rotta nella politica economica. 

Sembra insomma si stia delineando in Brasile un cambiamento del modello macroeconomico di fondo. Il governo di Dilma Rousseff sembra essersi reso conto che l’effetto positivo derivante dall’inclusione di milioni di persone nella forza lavoro è finito, la domanda di beni di consumo di queste fasce della popolazione non può più, da sola, sostenere la crescita. E dunque che è necessario spostare finalmente la domanda dal consumo agli investimenti, per aumentare la produttività dell’industria e sopperire alle carenze infrastrutturali di cui sopra.
Per questo, negli ultimi mesi l’attenzione del governo si è concentrata sulla creazione di un ambiente più favorevole all’investimento privato. Ne è un esempio concreto la nuova legge sulla gestione dei porti, infrastrutture davvero strategiche per il paese, se si considera che di là passa il 95 per cento del commercio estero brasiliano, che tuttavia a livello mondiale si colloca al centotrentesimo posto (su 144 paesi censiti) nella classifica che valuta l’efficienza del comparto. La scommessa è consentire ai prodotti brasiliani un accesso più rapido ed economico ai mercati mondiali, incidendo direttamente sulla loro competitività.
Nonostante questo panorama di luci e ombre, il Brasile continua a essere una destinazione appetibile per gli investitori stranieri. La perdurante fiducia degli investitori esteri, che costituisce un’importante fonte di risorse per la crescita dell’economia brasiliana, potrebbe tuttavia non bastare in mancanza di un deciso cambio di rotta nella politica economica.
Le manifestazioni di questi ultimi giorni riflettono, secondo alcuni analisti, l’ascesa di una nuova classe media sofisticata, più numerosa e più forte che adesso può permettersi di esigere servizi pubblici migliori, prezzi piu bassi e una classe politica meno corrotta.
L’economia brasiliana ormai decresce da oltre due anni. Il governo ha reagito  con un aumento sostanzioso della spesa sociale che si è dimostrato ancora una volta, fallimentare (caso simile  all’Europa). Spesa che è aumentata sproporzionalmente negli ultimi due anni arrivando ai 300 miliardi di reais (150 miliardi di dollari), senza riuscire a stimolare in modo consistente la ripresa economica.
Con le presidenziali nel 2014 si prevede un ulteriore aumento della spesa pubblica il che potrebbe danneggiare ancora di più l’economia ormai agonizzante del Brasile.
Tutto questo dimostra che una crescita “dei numeri” in una economia di un paese non significa un aumento della qualità di vita dei singoli cittadini, magari è tutto il contrario.
La quotidianità di un cittadino è fatta di piccoli grandi cose; in un paese immenso come il Brasile con queste “megalopoli” sovrappopolate le persone più investono nel proprio lavoro e più diminuiscono la loro qualità di vita, trasformando ogni giorno in un vero inferno.
Queste proteste come altre in questi giorni in altri paesi, sono contro i governi e contro gli stati: inefficienti, corrotti e ogni giorno più estranei dalle realtà dei loro paesi.

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