La parola mafia è più o meno coetanea a quella di camorra. Il derivato mafioso figura per prima
volta nel Nuovo vocabolario
siciliano-italiano coi significati di ‘braveria, baldanza, tracotanza,
pottata, spocchia’ e infine ‘nome collettivo di tutti i mafiosi’. La presenza
di una -f- in posizione interna, estranea alla tradizione latina, e la
sua peculiarità di voce siciliana, hanno indirizzato la ricerca delle origini
verso l’arabo e in questa direzione, la proposta che riscuote più consensi è
quella dell’adattamento del prestito maḥyāṣ ‘smargiasso’, col derivato maḥyaṣa ‘smargiassata millanteria’. Vi è un’altra proposta secondo la quale mafia
sarebbe la resa dell’arabismo mo’afiah ‘arroganza, tracotanza,
prevaricazione’. Se dovessimo propendere per l’arabismo, questa seconda ipotesi
ci sembrerebbe preferibile, perché comporta un adattamento minimo in quanto il
segmento iniziale mo’a– si riduce facilmente a ma–. Ma le
difficoltà dell’arabismo sono altre, prima di tutte la datazione: è difficile
accettare una trasmissione sotterranea di almeno otto secoli, se si attribuisce
il prestito al periodo della dominazione araba della Sicilia, e d’altra parte,
se si sostiene la sua adozione recente, si ha l’obbligo di indicarne e
motivarne il tramite attraverso i documenti. Bisogna poi tener conto di due
fatti di ordine semantico: il primo è che gli scrittori siciliani del secondo
Ottocento sono concordi nel sostenere che in Sicilia il significato primitivo
di mafia era ‘eleganza, braveria, eccellenza’; il secondo è che fuori di
Sicilia la voce è diffusa nei dialetti centro-meridionali col significato di
‘spocchia’ e prevalentemente nella variante maffia con doppia -f-.
Una ricerca più accurata fa emergere il bergamasco mafia “donna di età
mezzana”, l’elbano maffiona ‘(donna) colla faccia piena e tonda’ e
la locuzione far (la) maffia ‘sfoggiare lusso’,
propria del gergo militare. Al maschile troviamo il torinese mafi, mafiu
‘tanghero’ e il milanese brüt mafee ‘uomo brutto’, che si riconduce
senza difficoltà al nome proprio Maffeo, variante di Matteo,
appartenente alla serie dei nomi biblici in -èo, che hanno acquisito un
significato dispregiativo. Vale invece la pena d’insistere sull’origine del
nome proprio Maffeo per almeno tre buone ragioni: fornisce una base
lessicale accertata maf(f)-, altrimenti estranea al lessico
italiano, rende conto dell’oscillazione -f-/-ff- tipica dei nomi
propri che derivano da Matthaeus, permette di vedere nella Sicilia un
centro di espansione recenziore della voce nella sua accezione più nota, ma non
necessariamente il luogo della sua formazione. Stando ai dati forniti dai
dialetti italiani, maf(f)ia è in partenza una vox media che
significa ‘braveria, baldanza’, suscettibile di assumere accezioni positive o
negative secondo l’etica e il costume dei parlanti: così in Sicilia, dove
l’esibizione delle proprie ricchezze e del proprio stato sociale elevato è
considerato un comportamento legittimo e naturale, la voce ha preso il
significato di ‘eleganza, eccellenza’, mentre in Toscana, dove è vista come
un’ostentazione inopportuna da guardare persino con sospetto, ha preso quello
di ‘spocchia, boria’. Il nodo mancante è quello che lega questo comportamento
al nome di Maffeo e il personaggio di riferimento non può che essere
l’apostolo Matteo. A guardar bene nel racconto della sua conversione
secondo il Vangelo di Luca ci sono tutti gli elementi utili, considerando non
tanto il suo significato profondo quanto piuttosto le reazioni prodotte
nell’immaginazione e nei sentimenti dell’uditorio. A differenza degli altri
apostoli, semplici pescatori che avevano seguito Gesù senza cerimonie, Matteo,
da ricco pubblicano, solennizza l’avvenimento con un atto di magnificenza. Per
gli ascoltatori delle letture domenicali questi elementi erano più che
sufficienti a caratterizzare il tipo che trasforma un evento personale in
un’esibizione di lusso e di superiorità, che fa la maffia. Il
significato può essere legato al nome Maffeo e all’apostolo Matteo, l’unico a
esibire lusso e superiorità Del resto il Vangelo di Luca è il più ricco di
particolari narrativi, recepiti e rielaborati sia dalla tradizione dotta che da
quella popolare, come le figure del ricco epulone, prototipo del
gaudente dissoluto, e del povero Lazzaro, prototipo dello straccione
miserabile, che ha dato il napoletano (e italiano) lazzarone ‘pezzente,
vagabondo, canaglia’.
Alberto
Nocentini
No comments:
Post a Comment