La straordinaria novità della lingua e dello
stile del Principe fu colta a suo tempo da un grande poeta, scrittore e
critico italiano dell’Ottocento, Ugo Foscolo (1778-1827). In una sua opera
questi affermò che nessuno, in Italia, aveva scritto mai «né con più forza né
con più evidenza né con più brevità del Machiavelli». A parere di Foscolo,
l’unico difetto della lingua e dello stile dell’autore del Principe derivava
dalla «barbarie del dialetto materno», cioè dalla condizione rozza e
disordinata in cui egli aveva trovato il fiorentino dei suoi tempi. A due
secoli di distanza, e nonostante l'improprietà di quest'ultima
affermazione, le parole di Foscolo descrivono in modo molto efficace le
caratteristiche più importanti della prosa politica di Machiavelli: le
categorie della forza, dell’evidenza e della brevità possono
essere riferite alle strategie generali di organizzazione del testo e alle
strutture della sintassi, mentre la presunta barbarie del dialetto materno
è riferibile all'aspetto grafico-fonetico e morfologico.
Nella dedica del Principe a
Lorenzo de’ Medici, Machiavelli afferma
di non aver voluto usare, per il suo trattato, una lingua ampollosa e retorica,
ricca di formule e parole ricercate, adoperate al solo scopo di
rendere più elegante il discorso, ma una lingua semplice, perché l'opera
fosse apprezzata per la serietà dell’argomento e per l’originalità del modo di
trattarlo. Per darne conto, è sufficiente esaminare le poche righe che
compongono il primo capitolo:
“Tutti gli stati, tutti e' dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra
gli uomini, sono stati e sono o republiche o principati. E' principati
sono o ereditarii, de’ quali el sangue del loro signore ne sia suto lungo tempo
principe, o sono nuovi. E' nuovi, o e’ sono nuovi tutti, come fu Milano a
Francesco Sforza, o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del
principe che gli acquista, come è el regno di Napoli al re di Spagna. Sono
questi dominii così acquistati o consueti a vivere sotto uno principe o usi ad
essere liberi; e acquistonsi o con l’arme d’altri o con le proprie, o per
fortuna o per virtù”.
Di ogni problema, di ogni questione Machiavelli
indica sempre articolazioni alternative o soluzioni estreme e opposte,
escludendo ogni via di mezzo e ogni soluzione di compromesso. Questo suo modo
di ragionare si manifesta, sul piano della sintassi, con la produzione di
frasi che non sono collegate fra loro da un connettivo copulativo come per
esempio e, ma sono seccamente differenziate da un connettivo
disgiuntivo che è sempre o: «Tutti gli stati, tutti e' domini… sono
stati e sono o repubbliche o principati».
Il ragionamento si articola per distinzioni
nette, ognuna delle quali può a sua volta suddividersi in distinzioni
ulteriori, e a ognuna corrisponde un’opposizione secca e precisa, garantita,
sul piano linguistico, dall’uso costante dell’indicativo, il modo
dell’obiettività e della certezza: «hanno avuto e hanno», «sono stati e sono»,
«acquistonsi», ecc. Questa modalità argomentativa è presente non solo nel Principe
, ma anche negli scritti del Machiavelli più giovane, dalle legazioni
alle commissarìe, dalle lettere ai colleghi alle istruzioni agli ambasciatori,
dalle consulte agli scritti politici minori: qui, però, un tale procedimento è
particolarmente limpido ed evidente.
Sempre a proposito di argomentazione, occorre
segnalare che così nel Principe come in altri scritti (per esempio nei Discorsi
sopra la prima deca di Tito Livio) essa si affida fortissimamente a parole
che esprimono dovere, necessità, e indicano
ciò che in una determinata situazione si deve o non si deve fare per
raggiungere un determinato obiettivo politico. «Debbono, debbe, sono
forzati, di necessità, conviene che, è necessario che, bisogna" sono le
vere congiunzioni fra esempio e discorso, il vero e continuo connettivo delle
dimostrazioni. Naturalmente, fanno parte
della medesima serie anche le parole che esprimono impossibilità o divieto. La
stessa ideologia stilistica che impone di ricorrere a questo "vocabolario
della necessità" governa anche l’uso dei connettivi conclusivi, che
introducono una deduzione logica o una sintesi di ciò che è stato detto prima: allora,
donde, dunque, però, pertanto, quindi, ecc. Istruttivamente, gli
elementi appartenenti alle due serie – vocabolario della necessità e connettivi
conclusivi – s’incrociano con grande frequenza: «Sendo dunque necessitato uno principe sapere bene
usare la bestia, debbe di
quelle pigliare la golpe e il lione, perché el lione non si difende da’ lacci,
la golpe non si difende da’ lupi; bisogna
adunque essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’
lupi»; «Pertanto, non si
potendo, come io credo, bilanciare questa cosa, né mantenere questa via del
mezzo a punto; bisogna, nello
ordinare la repubblica, pensare alle parte più onorevole»; «Perché el principe
naturale ha minori cagioni e minore necessità di offendere, donde conviene ch’e’ sia piú amato»; «Quello principe, adunque, o quella republica che non
si assicura nel principio dello stato suo, conviene che si assicuri nella prima occasione, come fecero i
Romani»; «perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di
buono, conviene che ruini in fra tanti che non sono buoni. Onde è necessario,
volendosi uno principe mantenere, imparare a potere essere non buono e usarlo e
non usarlo secondo la necessità»; «Però,
debbe qualunque tiene stato,
così republica come principe, considerare innanzi, quali tempi gli possono
venire addosso contrari, e di quali uomini ne’ tempi avversi si può avere di
bisogno».
«Ma essendo l’intenzione mia stata scrivere cosa utile a chi la
intende, mi è parso più conveniente andare dreto alla verità effettuale della
cosa che alla immaginazione di essa».
All'interno della tradizione
letteraria italiana, la prosa politica di Machiavelli fa storia a sé, o meglio
avvia una storia a sé stante. Se l’assetto fonomorfologico la avvicina al
secolo e alla geografia linguistica e culturale di una parte della prosa che la
precede, la sintassi e lo stile la proiettano senz'altro verso il secolo e
la geografia linguistica e culturale di una parte della prosa che la segue.
Grazie a Giuseppe Patota
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