Search

07/12/2015

O nosso egoísmo é genético...

No início, havia a vontade de Deus (ou de deuses) explicando todas as coisas. Depois, o homem começou a se dar conta que descer ao inferno era resultado das suas próprias escolhas - ainda que as decisões estivessem ligadas à moralidade religiosa. Foram sete séculos aprimorando uma espécie de arrogância sobre a natureza: como era capaz de refletir sobre a própria existência, o homem estava convencido de que havia transcendido sua condição de animal. Foi um erro. O homem não é um ser especial feito à imagem e semelhança de Deus, mas um herdeiro de bilhões de anos de evolução, como mostrou Darwin. Ainda somos a única espécie capaz de pensar e tomar decisões racionais escreve Richard Dawkins em O Gene Egoísta. No livro, o zoólogo compilou décadas de estudos para convencer a comunidade científica e o público leigo de que a evolução não produziu apenas espécies melhor adaptadas ao meio. O darwinismo podia ajudar a explicar como somos comandados pelos nossos genes. Somos máquinas de sobrevivência; veículos robô programados cegamente para preservar as moléculas egoístas conhecidas como genes. Dawkins, que era um zoólogo pouco conhecido quando publicou o livro, mas tinha estudado com o Prêmio Nobel Nikolaas Tinbergen, especialista em comportamento animal, percebeu que a lógica da evolução acontecia no nível genético. São as moléculas do nosso DNA que buscam a perpetuação e não as espécies. Para o zoólogo, os genes desenvolveram plantas e animais como "robôs" cada vez mais sofisticados para se proteger e se reproduzir - "máquinas de sobrevivência", como ele definiu. Se a espécie não for eficiente, o robô será substituído por outro. Sai a idéia da perpetuação das espécies e entra a da perpetuação de genes. Havia uma repercussão filosófica no conceito: nosso livre-arbítrio não foge à lógica genética. Não seria tão livre assim. O zoólogo foi bombardeado. Críticos dizem que genes não têm vontade própria e, assim, não podem criar máquinas de sobrevivência mas, com o mapeamento genético, décadas depois, sua tese está cada vez mais atual. Compartilhamos 99% dos genes com chimpanzés. O índice mostra que os verdadeiros vitoriosos dessa guerra são os 99% de genes presentes nas diferentes máquinas de sobrevivência, e não o solitário 1% que nos diferencia.

03/12/2015

Cervello donne – Cervello uomini. Differenze? Nessuna...

Non esistono differenze tra i cervelli di uomini e donne. Lo afferma uno studio del l'Università di Tel Aviv. I ricercatori hanno analizzato tantissime immagini di cervelli con la risonanza magnetica di individui di entrambi i sessi. Dal confronto delle forme di diverse aree neurali nei cervelli di maschi e femmine è emerso che solo per un limitato sottogruppo di regioni neurali si possono riscontrate effettivamente alcune piccole differenze legate al sesso, ma che, ciononostante, non esiste un vero e proprio dimorfismo sessuale del cervello. Se da una parte la ricerca ha sfatato il mito delle differenze intellettive tra i generi, dall'altro ha evidenziato il fatto che il cervello di ciascun individuo è sempre un mosaico unico di caratteristiche, alcune più comuni nei maschi che nelle femmine, altre più comuni nelle femmine che nei maschi, altre ancora ugualmente comuni in maschi e femmine. Questo significa che nel cervello di un uomo è altamente probabile che ci siano anche tante regioni neurali di tipo femminile (la cui forma è statisticamente più diffusa nel cervello di donne), oltre che regioni neurali di tipo maschile (la cui forma è invece statisticamente più diffusa nel cervello di maschi). L'analisi è stata ripetuta su quattro distinti set di dati di immagini ed è emerso che è una condizione rarissima (presente in appena l'8% dei cervelli esaminati) che il cervello di un individuo appaia o del tutto maschile (tutte le regioni sessualmente dimorfiche si presentavano "in versione maschile") o del tutto femminile (tutte le regioni sessualmente dimorfiche si presentavano "in versione femminile"). L'eccezione che conferma la regola, dunque, una condizione che non può essere assunta come dato discriminante tra i sessi e che nega una distinzione di genere tra il cervello femminile e quello maschile.

02/12/2015

Para leer necesitamos un “diccionario visual”…

Parece ser que la gente acostumbrada a leer puede reconocer las palabras a velocidades asombrosas, porque de alguna manera, las palabras están colocadas en una especie de diccionario visual. El diccionario visual refuta en alguna medida la idea de que nuestros cerebros tratan de reconocer en cómo se escucha cada palabra que vemos. Un estudio revela cómo el cerebro resuelve la tarea compleja de leer, la cual puede ayudar a descubrir las bases del cerebro en los desórdenes de la lectura, como la dislexia. Podría ser que en la dislexia, debido a problemas de procesamiento fonológico, estos individuos no sean capaces de desarrollar una representación visual afinada de las palabras y por ende les cuesta más trabajo. No pueden sacar ventaja de la alta velocidad de procesamiento de palabras usando este diccionario.  Una vez que hemos aprendido una palabra, ésta se coloca en el diccionario visual del cerebro.  El tener una representación visual pura nos permite un reconocimiento eficiente y rápido, el cual se observa en lectores con experiencia. Los investigadores probaron el reconocimiento de palabras en 12 voluntarios. Fueron capaces de ver palabras que eran diferentes, pero que sonaban igual. En estos casos se activaban diferentes neuronas las cuales se presume activan diferentes entradas en el catálogo del diccionario. Si el sonido de la palabra tuviese influencia en esta parte del cerebro, deberíamos esperar que activaran las mismas o similares neuronas, pero no fue el caso. Esto sugiere que todos usamos la información visual de la palabra y no su sonido. Cuando vemos una palabra por primera vez, necesitamos cierto tiempo para leerla y asimilar su sonido, pero después de esa sola presentación la podemos reconocer sin tener que acceder a como se escucha. Esto ocurre porque en primera instancia, nuestros cerebros codifican la palabra con el sonido y la manera escrita. Una vez que se hace eso la próxima vez que leemos la palabra en cuestión, no necesitamos más la fonología que usamos al principio, sino que solamente utilizamos la entrada visual para identificar la palabra. ¿Lo ven o les suena?

La curiosità incuriosisce

La curiosità è il motore di ogni scoperta scientifica, eppure di questa caratteristica fondamentale della nostra mente la scienza oggi sa ancora poco. I dibattiti vanno avanti da oltre un secolo: è all'incirca da metà dell'800 infatti che gli psicologi iniziarono a studiare i meccanismi che spingono i bambini verso oggetti mai visti, o nuove esperienze. A rendere difficile la scelta di una definizione univoca di curiosità vi è però il fatto che molti animali e anche le forme di vita più elementari presentano comportamenti di questo genere, dovendo cercare informazioni nel loro ambiente per sopravvivere, trovare il cibo ed evitare i predatori. Per questo, una delle definizioni più diffuse di curiosità si basa sulle motivazioni che spingono a cercare nuove informazioni: per essere definita curiosità, questa dovrebbe essere indotta da motivazioni intrinseche, cioè non legate a fattori esterni come la necessità di nutrirsi, o la paura di potenziali pericoli. Così definita però, la curiosità diventa difficile da studiare proprio nei soggetti più interessanti per gli scienziati. Che un adulto sia curioso infatti è evidente, ma può dirci poco su cosa sia la curiosità. Neonati, animali e batteri invece non possono spiegarci quali motivazioni guidino le loro azioni, e invece sono proprio questi i soggetti che potrebbero aiutarci a scoprire a cosa serva la curiosità, quali siano la sua funzione biologica, la sua origine e la sua evoluzione. La definizione attuale da me preferita è che la curiosità potrebbe essere una "pulsione per la ricerca di informazioni", un atteggiamento che può facilmente essere riconosciuto anche nel comportamento di forme di vita elementari. Con questa definizione di curiosità si aprono nuove domande, a cui prima era impossibile rispondere. La curiosità, ad esempio, può essere troppa? Normalmente risponderemmo di no, perché si pensa che la curiosità sia legata unicamente ad attività positive, come la scienza, l'apprendimento e lo studio. Se invece la curiosità è una propensione alla ricerca di qualunque tipo di informazioni, anche quelle inutili, può senz'altro rivelarsi dannosa. Come in tutti i campi della vita, anche in questo caso bisogna raggiungere un equilibrio. Se passiamo ad esempio troppo tempo a guardare un programma televisivo perché siamo curiosi di sapere come andrà a finire, avremo poi meno tempo per lavorare. Deve esistere quindi un bilanciamento affinchè troppa curiosità non riesca ad essere nociva.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...