No início, havia a
vontade de Deus (ou de deuses) explicando todas as coisas. Depois, o homem
começou a se dar conta que descer ao inferno era resultado das suas próprias
escolhas - ainda que as decisões estivessem ligadas à moralidade
religiosa. Foram sete séculos aprimorando uma espécie de arrogância sobre a
natureza: como era capaz de refletir sobre a própria existência, o homem estava
convencido de que havia transcendido sua condição de animal. Foi um erro. O
homem não é um ser especial feito à imagem e semelhança de Deus, mas um
herdeiro de bilhões de anos de evolução, como mostrou Darwin. Ainda somos a
única espécie capaz de pensar e tomar decisões racionais escreve Richard
Dawkins em O Gene Egoísta.
No livro, o zoólogo compilou décadas de estudos para convencer a comunidade
científica e o público leigo de que a evolução não produziu apenas espécies
melhor adaptadas ao meio. O darwinismo podia ajudar a explicar como somos
comandados pelos nossos genes. Somos máquinas de sobrevivência; veículos robô
programados cegamente para preservar as moléculas egoístas conhecidas como
genes. Dawkins, que era um zoólogo pouco conhecido quando publicou o livro, mas
tinha estudado com o Prêmio Nobel Nikolaas Tinbergen, especialista em
comportamento animal, percebeu que a lógica da evolução acontecia no nível
genético. São as moléculas do nosso DNA que buscam a perpetuação e não as
espécies. Para o zoólogo, os genes desenvolveram plantas e animais como
"robôs" cada vez mais sofisticados para se proteger e se
reproduzir - "máquinas de sobrevivência", como ele definiu. Se a
espécie não for eficiente, o robô será substituído por outro. Sai a idéia da
perpetuação das espécies e entra a da perpetuação de genes. Havia uma
repercussão filosófica no conceito: nosso livre-arbítrio não foge à lógica
genética. Não seria tão livre assim. O zoólogo foi bombardeado. Críticos dizem
que genes não têm vontade própria e, assim, não podem criar máquinas de
sobrevivência mas, com o mapeamento genético, décadas depois, sua tese está
cada vez mais atual. Compartilhamos 99% dos genes com chimpanzés. O índice
mostra que os verdadeiros vitoriosos dessa guerra são os 99% de genes presentes
nas diferentes máquinas de sobrevivência, e não o solitário 1% que nos
diferencia.
NeuroEducation, NeuroPlasticity, NeuroCommunication, NeuroLanguage Learning & Coaching, Multilingualism, Multiculturalism, Interpersonal & Intercultural Communication.
Search
07/12/2015
03/12/2015
Cervello donne – Cervello uomini. Differenze? Nessuna...
Non esistono differenze tra i
cervelli di uomini e donne. Lo afferma uno studio del l'Università di Tel Aviv. I ricercatori hanno analizzato
tantissime immagini di cervelli con la risonanza magnetica di individui di
entrambi i sessi. Dal confronto delle forme di diverse aree neurali nei
cervelli di maschi e femmine è emerso che solo per un limitato sottogruppo di
regioni neurali si possono riscontrate effettivamente alcune piccole differenze
legate al sesso, ma che, ciononostante, non esiste un vero e proprio dimorfismo
sessuale del cervello. Se da una parte la ricerca ha sfatato il mito delle
differenze intellettive tra i generi, dall'altro ha evidenziato il fatto che il
cervello di ciascun individuo è sempre un mosaico unico di caratteristiche,
alcune più comuni nei maschi che nelle femmine, altre più comuni nelle femmine
che nei maschi, altre ancora ugualmente comuni in maschi e femmine. Questo
significa che nel cervello di un uomo è altamente probabile che ci siano anche
tante regioni neurali di tipo femminile (la cui forma è statisticamente più
diffusa nel cervello di donne), oltre che regioni neurali di tipo maschile (la
cui forma è invece statisticamente più diffusa nel cervello di maschi). L'analisi
è stata ripetuta su quattro distinti set di dati di immagini ed è emerso che è
una condizione rarissima (presente in appena l'8% dei cervelli esaminati) che
il cervello di un individuo appaia o del tutto maschile (tutte le regioni
sessualmente dimorfiche si presentavano "in versione maschile") o del
tutto femminile (tutte le regioni sessualmente dimorfiche si presentavano
"in versione femminile"). L'eccezione che conferma la regola, dunque,
una condizione che non può essere assunta come dato discriminante tra i sessi e
che nega una distinzione di genere tra il cervello femminile e quello maschile.
02/12/2015
Para leer necesitamos un “diccionario visual”…
Parece
ser que la gente acostumbrada a leer puede reconocer las palabras a velocidades
asombrosas, porque de alguna manera, las palabras están colocadas en una especie
de diccionario visual. El diccionario visual refuta en alguna medida la idea de
que nuestros cerebros tratan de reconocer en cómo se escucha cada palabra que
vemos. Un estudio revela cómo el cerebro resuelve la
tarea compleja de leer, la cual puede ayudar a descubrir las bases del cerebro
en los desórdenes de la lectura, como la dislexia. Podría ser
que en la dislexia, debido a problemas de procesamiento fonológico, estos
individuos no sean capaces de desarrollar una representación visual afinada de
las palabras y por ende les cuesta más trabajo. No pueden sacar ventaja de la
alta velocidad de procesamiento de palabras usando este diccionario. Una vez que hemos aprendido una palabra, ésta se coloca en el
diccionario visual del cerebro. El tener una representación visual pura
nos permite un reconocimiento eficiente y rápido, el cual se observa en
lectores con experiencia. Los
investigadores probaron el reconocimiento de palabras en 12 voluntarios. Fueron
capaces de ver palabras que eran diferentes, pero que sonaban igual. En estos
casos se activaban diferentes neuronas las cuales se presume activan diferentes
entradas en el catálogo del diccionario. Si el sonido de la palabra
tuviese influencia en esta parte del cerebro, deberíamos esperar que activaran
las mismas o similares neuronas, pero no fue el caso. Esto sugiere que todos
usamos la información visual de la palabra y no su sonido. Cuando vemos una
palabra por primera vez, necesitamos cierto tiempo para leerla y asimilar su
sonido, pero después de esa sola presentación la podemos reconocer sin tener
que acceder a como se escucha. Esto ocurre porque en primera instancia,
nuestros cerebros codifican la palabra con el sonido y la manera escrita. Una
vez que se hace eso la próxima vez que leemos la palabra en cuestión, no
necesitamos más la fonología que usamos al principio, sino que solamente
utilizamos la entrada visual para identificar la palabra. ¿Lo ven o les suena?
La curiosità incuriosisce
La curiosità è il motore di ogni
scoperta scientifica, eppure di questa caratteristica fondamentale della nostra
mente la scienza oggi sa ancora poco. I dibattiti vanno avanti da oltre un
secolo: è all'incirca da metà dell'800 infatti che gli psicologi iniziarono a
studiare i meccanismi che spingono i bambini verso oggetti mai visti, o nuove
esperienze. A rendere difficile la scelta di una definizione univoca di
curiosità vi è però il fatto che molti animali e anche le forme di vita più
elementari presentano comportamenti di questo genere, dovendo cercare
informazioni nel loro ambiente per sopravvivere, trovare il cibo ed evitare i
predatori. Per questo, una delle definizioni più diffuse di curiosità si basa
sulle motivazioni che spingono a cercare nuove informazioni: per essere
definita curiosità, questa dovrebbe essere indotta da motivazioni intrinseche,
cioè non legate a fattori esterni come la necessità di nutrirsi, o la paura di
potenziali pericoli. Così definita però, la curiosità diventa difficile da
studiare proprio nei soggetti più interessanti per gli scienziati. Che un
adulto sia curioso infatti è evidente, ma può dirci poco su cosa sia la curiosità.
Neonati, animali e batteri invece non possono spiegarci quali motivazioni
guidino le loro azioni, e invece sono proprio questi i soggetti che potrebbero
aiutarci a scoprire a cosa serva la curiosità, quali siano la sua funzione
biologica, la sua origine e la sua evoluzione. La definizione attuale da me
preferita è che la curiosità potrebbe essere una "pulsione per la ricerca
di informazioni", un atteggiamento che può facilmente essere riconosciuto
anche nel comportamento di forme di vita elementari. Con questa definizione di
curiosità si aprono nuove domande, a cui prima era impossibile rispondere. La
curiosità, ad esempio, può essere troppa? Normalmente risponderemmo di no,
perché si pensa che la curiosità sia legata unicamente ad attività positive,
come la scienza, l'apprendimento e lo studio. Se invece la curiosità è una
propensione alla ricerca di qualunque tipo di informazioni, anche quelle
inutili, può senz'altro rivelarsi dannosa. Come in tutti i campi della vita,
anche in questo caso bisogna raggiungere un equilibrio. Se passiamo ad esempio
troppo tempo a guardare un programma televisivo perché siamo curiosi di sapere
come andrà a finire, avremo poi meno tempo per lavorare. Deve esistere quindi
un bilanciamento affinchè troppa curiosità non riesca ad essere nociva.
Subscribe to:
Posts (Atom)