A
study shows that a part of the brain called the anterior cingulate cortex (ACC)
seems particularly attuned to other people’s good news, but how it responds
varies substantially depending on our levels of empathy. For people who rated
themselves as highly empathetic, the ACC responded only when another person had
good news coming, but for people who gave themselves lower empathy scores, the
ACC also responded when bad news was predicted for themselves. This new insight
could prove important in understanding the role of the ACC in disorders of
social behaviour and empathy, including psychopathy and autism. Further studies
could focus on how the brain responds to our own success compared to others’ in
people with these disorders. Researchers scanned the brains of 30 male
volunteers aged 19-32 using functional magnetic resonance imaging while they
saw symbols that predicted how likely either they or another person was to win
money. Participants also completed a questionnaire that assessed their empathy
level in the week before they had the scan. The study found that the ACC region
of the brain activated in all the volunteers when someone else was very likely
to win money. However, there were substantial differences in how ‘specialised’
this ACC response was, which were linked to how empathetic participants said
they were. Participants whose ACC activation was the most specialised for other
people showed an ACC response only when the other person was very likely to win
money. These volunteers had rated themselves as high in empathy. However,
participants whose ACC activation was less specialised for other people also
showed an ACC response when they themselves were very unlikely to win money.
These participants had given themselves much lower empathy scores. Further
research is also needed to examine how real life social interactions can be
influenced by how specialised this area of the brain is, and whether these
results can help to explain why some people only feel happy for others’ success
when they feel successful themselves.
NeuroEducation, NeuroPlasticity, NeuroCommunication, NeuroLanguage Learning & Coaching, Multilingualism, Multiculturalism, Interpersonal & Intercultural Communication.
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14/10/2015
25/09/2015
La scienza è al maschile: realtà o stereotipo?
Quante volte avrete
ascoltato: "Perché una
ragazza carina come te studia materie scientifiche?".
Il 97% dei premi Nobel scientifici
sono stati finora assegnati solo a uomini. E in Occidente, tra il 2000 e il
2010 la proporzione di donne con incarichi di ricerca scientifica è rimasta
bassa, meno di un terzo dei posti, aumentando di soli tre punti: dal 26 al 29%.
Solo l'11% degli alti incarichi accademici in Occidente è occupato da
scienziate. Gli stereotipi sono ancora straordinariamente forti. Una indagine
condotta in cinque paesi europei, ha dimostrato che solo il 10% degli
intervistati pensa che le donne abbiano particolari attitudini per la scienza e
ben il 67% è convinto che non abbiano le capacità necessarie per una carriera
scientifica di alto livello. Per la stragrande maggioranza degli intervistati
le donne sono più portate per le le scienze sociali (38%), la comunicazione
(20%), le lingue (13%), l'arte (8%). Le scienze vengono alla fine (10%) seguite
da management e politica (5%). La cosa “sorprendente”
è che queste risposte in qualche modo sessiste sono condivise sia dagli uomini
che dalle donne. Le percentuali non variano poi tanto a seconda del genere,
segno che gli stereotipi sono ben radicati anche nelle mentalità. Quando si
chiede a alcune donne di immaginare una carriera da scienziata, il 2% pensa all'astronomia,
il 10% alla fisica o alla chimica, il 24% cita il lavoro di ricerca e appena il
3% la matematica o l'ingegneria eppure vi domando: Chi ha identificato il virus
Hiv? L'immunologa Françoise Barré-Sinoussi. Chi ha trovato il gene responsabile
del tumore al seno? Una genetista statunitense, Mary-Claire King. Chi ha
scoperto la composizione di Elio e Idrogeno delle stelle? L’astronoma inglese Cecilia
Payne. In generale, quando si domanda a qualcuno di ricordare un grande
scienziato il 71% delle persone dice un nome maschile, Albert Einstein al primo
posto. Ma dove si incuba questo pregiudizio? Nella scuola è dove si formano le prime discriminazioni, proprio
durante l'adolescenza. Solo il 35% delle donne si è sentita incoraggiata a fare
studi scientifici, il 9% ha avuto invece segnali negativi al riguardo. Il
risultato sono due linee che si biforcano, ovvero l'andamento del percorso di
studi e carriera a seconda del genere. Al liceo i ragazzi sono ancora quasi
alla pari nello studio di materie scientifiche: 51% di uomini e 49% di donne.
Già all'università comincia a scavarsi un solco. Nelle facoltà scientifiche gli
iscritti sono il 68% contro il 32% di iscritte, una distanza che sale fino al
75% contro il 25% al livello di dottorato. Bisogna combattere i
pregiudizi sin dalla scuola. Il primo passo per sconfiggere gli stereotipi è
accorgersi che esistono, nonostante il lungo cammino di emancipazione.
Da dove
cominciamo?
24/09/2015
Crime e punição: como o cérebro decide?
Em casos
criminais, os juízes tipicamente decidem se o réu é culpado, e depois
determinam a punição adequada. Uma nova pesquisa confirma que estes dois
processos separados — culpa e punição —, embora estejam relacionados, ocorrem
em diferentes partes do cérebro. De fato, os cientistas descobriram que eles
podem interromper ou mudar uma das decisões sem afetar a outra. Os
pesquisadores da universidade de Harvard explicam que uma área específica do
cérebro, o córtex pré-frontal dorsolateral, é crucial para decisões ligadas à
punição. Eles então previram que, com a alteração da atividade cerebral naquela
região, poderiam mudar como as pessoas estabelecem punições em situações
hipotéticas sem modificar a “intensidade” da culpa atribuída a uma pessoa.
Conseguir mudar significativamente a cadeia de decisões do cérebro e reduzir as
punições estabelecidas para cada crime sem afetar a atribuição da culpa. Isso
fortalece as evidências de que o córtex pré-frontal dorsolateral integra
informações de outras partes do cérebro para determinar punições e mostra uma
clara dissociação neural entre decisões de punição e julgamentos de
responsabilidade moral. Os cientistas usaram um método conhecido como Estimulação Magnética Transcraniana Repetitiva
em uma área específica do córtex pré-frontal dorsolateral para alterar
brevemente a atividade naquela região e, consequentemente, mudar a intensidade
da punição atribuída. Muitos estudos mostram como o córtex pré-frontal
dorsolateral participa de tarefas cognitivas relativamente simples. Este
processo básico constitui a base para formas mais complexas de comportamento e
tomadas de decisão, como a aplicação de uma norma. A equipe conduziu
experimentos em 66 homens e mulheres. Os participantes deviam tomar decisões
sobre as punições e o culpado em uma série de cenários em que um suspeito
comete um crime. Os cenários variavam de acordo com o prejuízo causado (de
danos à propriedade a provocação de ferimentos e morte) e o grau de culpa que
pode ser atribuído à pessoa (totalmente responsável ou não, de acordo com as
circunstâncias). Metade das pessoas recebeu a estimulação magnética, enquanto a
outra recebeu apenas um placebo. As pessoas que receberam a estimulação
aplicaram punições menores para os réus do que os demais, particularmente em
situações ligadas a danos baixos ou moderados. A perturbação temporária das
funções do córtex pré-frontal dorsolateral teria alterado como as pessoas usam
as informações para tomar suas decisões. Em outras palavras, a punição requer
que as pessoas equilibrem estas duas influências, e a manipulação magnética
interferiu neste balanço, especialmente sob condições em que estes fatores são
dissonantes, como quando a intenção é clara, mas o resultado dos danos é leve. A
principal meta da equipe com este trabalho é expandir o conhecimento sobre como
o cérebro acessa e depois integra informações relevantes para decisões sobre
culpa e punição e também avançará o estudo indisciplinar da lei e da
neurociência. A pesquisa dá uma percepção mais profunda sobre como as pessoas
tomam decisões relevantes para a lei, e particularmente como diferentes partes
do cérebro contribuem para decisões sobre o crime e a punição.
Felicità o depressione? È questione di...amici.

Lo studio ha analizzato il comportamento di oltre 2 mila adolescenti americani,
verificando in che modo il loro umore influenzasse quello di amici e
conoscenti. Per farlo, i ricercatori hanno preso in prestito le tecniche
utilizzate normalmente dagli epidemiologi per controllare la diffusione delle malattie,
e hanno così realizzato un modello con cui monitorare in che modo l'umore dei
ragazzi si diffondesse all'interno della loro rete sociale. "È noto che
esistono fattori sociali, come vivere da soli, o aver sperimentato degli abusi
nell'infanzia, che possono influenzare il rischio di diventare depressi. Ed è
noto inoltre che il supporto sociale, come avere qualcuno con cui parlare, è
fondamentale per riprendersi dalla depressione", spiega Thomas House,
ricercatore dell'Università di Manchester che ha coordinato lo studio. "Il
nostro studio però ha affrontato un tema leggermente differente, guardando in
che modo le proprie amicizie possono influenzare il rischio di sviluppare un
disturbo dell'umore, o la possibilità di riprendersi da una crisi depressiva".
I risultati della ricerca hanno evidenziato che la depressione sembra incapace di diffondersi all'interno di una rete sociale. Per chi è a rischio o già soffre di questa patologia un numero sufficiente di amicizie "sane", tendenzialmente felici, può invece essere un toccasana, raddoppiando le probabilità di guarigione, e dimezzando il rischio di soffrire di depressione. E quando parlando di depressione, avvertono i ricercatori, si tratta di numeri estremamente rilevanti.
"Avere forti reti sociali potrebbe quindi essere un metodo estremamente efficace per combattere la depressione", sottolinea House. "Se nelle nostre società incentivassimo le occasioni per sviluppare amicizie tra gli adolescenti, ogni ragazzo avrebbe più probabilità di conoscere abbastanza persone con un umore sano da beneficiare di questo effetto protettivo".
I risultati della ricerca hanno evidenziato che la depressione sembra incapace di diffondersi all'interno di una rete sociale. Per chi è a rischio o già soffre di questa patologia un numero sufficiente di amicizie "sane", tendenzialmente felici, può invece essere un toccasana, raddoppiando le probabilità di guarigione, e dimezzando il rischio di soffrire di depressione. E quando parlando di depressione, avvertono i ricercatori, si tratta di numeri estremamente rilevanti.
"Avere forti reti sociali potrebbe quindi essere un metodo estremamente efficace per combattere la depressione", sottolinea House. "Se nelle nostre società incentivassimo le occasioni per sviluppare amicizie tra gli adolescenti, ogni ragazzo avrebbe più probabilità di conoscere abbastanza persone con un umore sano da beneficiare di questo effetto protettivo".
Voi siete tra color che son
depressi?
22/09/2015
Le lingue si evolvono. Cultura? No! Pigrizia!
Le lingue sono in continuo
mutamento, tendendo quasi sempre a semplificarsi. Secondo alcuni linguisti non
si tratta di fattori socioculturali. Il motivo invece risiederebbe nel
funzionamento del cervello umano che sceglie sempre la strada più facile per
far fronte a costruzioni linguistiche complicate. Una delle dinamiche di
evoluzione linguistica più comuni e diffuse è la continua semplificazione della
grammatica. Gli esperti si chiedono da tempo se la semplificazione delle lingue
sia un meccanismo dovuto a specifiche condizioni culturali e sociali di una
particolare regione linguistica o se invece sia legato a proprietà proprie del
cervello umano. La domanda sembra avere trovato finalmente una risposta. Il
segreto dell'evoluzione linguistica starebbe proprio nel funzionamento delle
aree del cervello specializzate nell'elaborazione del linguaggio. Se il
cervello deve sforzarsi troppo per far fronte a costruzioni linguistiche
complicate, di solito tende a semplificarle. Un meccanismo che, nel corso del
tempo, modifica la lingua stessa. Le prove scientifiche relative alla dinamica
di semplificazione della grammatica erano finora piuttosto ambigue ma oggi abbiamo
identificato dei vincoli neurofisiologici nell'elaborazione del linguaggio che
hanno un effetto sistematico sull'evoluzione dell'utilizzo delle lingue. Gli
scienziati, anzitutto, hanno condotto un'analisi statistica su un database di
617 lingue. Successivamente, hanno cercato di capire se la scomparsa di una costruzione
linguistica cioè, in definitiva, la semplificazione della grammatica, fosse
legata a qualche particolare meccanismo cerebrale, sottoponendo 32 volontari
madrelingua a una elettroencefalografia. I risultati dell'esame hanno mostrato
un'attività cerebrale significativamente più intensa durante la comprensione e
l'elaborazione del linguaggio, in particolare quando i volontari incontravano
costrutti grammaticali particolarmente complessi. Alcuni casi sovraccaricano
particolarmente il cervello e questo è il motivo per cui sono ormai quasi
scomparsi da tutte le lingue del mondo, indipendentemente dalle proprietà
strutturali della lingua stessa o da altri fattori socioculturali. In altre
parole, lo studio suggerisce che il fattore principale che guida l'evoluzione
della grammatica sia biologico e non culturale. Queste nuove scoperte gettano
le fondamenta per studi futuri sull'origine e lo sviluppo del linguaggio umano
e per una migliore comprensione dei disturbi ad esso connessi.
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