La stima approssimativa e di 100.000 italiani all'anno che decidono di abbandonare il l’Italia,
ma in realtà sono molti di più perché in tanti scelgono di non registrarsi
all'AIRE.
Il 43% degli
espatriati è single.
il 24,5% degli
espatriati ha figli.
il 56%
ha una laurea (triennale o magistrale)
Il 13,3%
ha un dottorato.
l’ 8,1% ha
un post-doc.
A livello generale, la Lombardia si rivela la regione
che maggiormente alimenta l'emigrazione: ben 13.156 lombardi hanno trasferito
la propria residenza all'estero nel 2012, davanti ai veneti (7456), ai
siciliani (7003), ai piemontesi (6134), ai laziali (5952), ai campani (5240),
agli emiliano-romagnoli (5030), ai calabresi (4813), ai pugliesi (3978) e ai
toscani (3887).
I primi cinque Paesi di espatrio sono, nell’ordine: Germania, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti
e Spagna.
Il 40% si dice invece incerto
Il 41,3% lo esclude a priori.
Solo il 53% del campione si dichiara iscritto
all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (Aire). Per cui la metà di
loro è praticamente “invisibile” alle statistiche ufficiali.
Per esempio, l’ufficio federale statistico tedesco segnala
che nel 2011 oltre 28.000 italiani si sono trasferiti in Germania, mentre negli
Usa ogni anno vengono rilasciati oltre 20mila visti per “student and exchange visitors”
a cittadini italiani.
Nel Regno Unito, sempre nel 2011, gli italiani che
hanno richiesto il codice fiscale (senza il quale non si può aprire un conto né
lavorare) sono stati quasi 25.000 piazzandosi tra le prime sette nazionalità di
immigrazione. Di questi oltre l’80% ha tra i 18 e i 34 anni.
Un articolo molto interessante ipotizza che per la
crescita e l’educazione di un giovane da zero a 25 anni occorrono, mediamente
dai 150.000 Euro ai 200.000 Euro a carico delle famiglie, a cui dobbiamo
sommare una quota pro-capite di spesa pubblica per educazione, sanità, servizi
vari, ecc. (altri 200.000 Euro mediamente per chi frequenta un iter formativo
completo fino alla Laurea). Quindi ogni persona con tali caratteristiche che se
ne va dall’Italia costituisce una perdita secca di 350.000-400.000 Euro di investimento
realizzato, pubblico e privato. Moltiplicata per 100 persone fa dai 35 ai 40
milioni di Euro. Moltiplicato per 200 mila (che è la stima realistica del
numero dei nuovi espatri dall’Italia che avremo nei prossimi anni), fa dai 70
ai 90 miliardi di capitalizzazione (patrimonio umano) che se ne vanno a
produrre valore e sviluppo in altri luoghi, dove, lungimiranti, li accolgono a
braccia aperte.
Se moltiplichiamo per i prossimi 10 anni la permanenza di questo flusso,
arriviamo ad una cifra impressionante che corrisponde e anzi supera, un terzo
del PIL annuale del paese (700/900 miliardi).
Altresì dobbiamo calcolare che nell’ipotesi di un trasferimento stabile
all’estero, queste persone resteranno produttive per un’intera vita, diciamo
per i fatidici 40 anni, anche se con l’allungamento dell’età pensionabile
saranno di più. Se attribuiamo ad ogni persona, una valore lordo di produzione
di circa 50.000 Euro all’anno (ipotizzando stipendi medi molto contenuti, pari
a circa 3.500/4.000 euro lordi al mese che un laureato può facilmente percepire
all’estero), ogni persona che se ne va, si porta con sé un pil pro-capite
potenziale di 2 milioni di Euro nell’arco dell’intera vita lavorativa.
Moltiplicato per 200.000 persone (che se ne andrebbero in un solo anno), si
tratta di 400 miliardi. Nell’ipotesi che questo flusso duri 10 anni, con la
stessa frequenza annuale, si tratta di 4.000 miliardi, una cifra superiore al
doppio dell’intero PIL annuale del paese.
Ma in ogni caso, se arriva forza lavoro di qualità medio bassa in Italia e
parallelamente se ne va forza lavoro qualificata, il quadro che si sta
dipingendo è quello di un paese che ha scelto di autoridurre deliberatamente le
proprie prospettive e che sta importando forza lavoro a basso costo per
contenere gli effetti di una competitività in settori maturi, che non riesce
altrimenti a mantenere, a causa della mancanza di innovazione di prodotto e di
processo e di investimenti.
Sorvoliamo sul fatto che se in tale contesto si volesse trovare un punto
di equilibrio tra emigrazione ed immigrazione, sarebbero necessari interventi
di assistenza, formazione, qualificazione, ecc. di cui al momento, non vi è
neanche l’ombra.
Questo fa capire come l'immigrazione verso l'Italia non
viene gestita, in nessun modo e non e' di sicuro colpa dei poveretti che
arrivano in qualche modo verso il Bel Paese, ma una volta arrivati si lasciano
abbandonati a se stessi.
All’estero (nei paesi più avanzati) gli italiani vengono
inquadrati, con regole ben precise da seguire, vengono obbligati ad istruirsi e
a qualificarsi in modo da creare manodopera qualificata e dare un valore
concreto a ciò' che andranno a fare in futuro. Questa è lungimiranza.
In Italia, morta l'attuale generazione, quella che
negli anni passati ha potuto capitalizzare qualcosa e che fa da “welfare” ai
giovani d'oggi, sarà' un deserto di possibilità', idee e di valori. Quel poco
di benessere che esiste nel paese c’è appunto per questa generazione.
Questa è avventatezza, imprevidenza, miopia.
(grazie a Mattia Musiello)