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27/12/2014

Potenziare la memoria? 3 suggerimenti.


Fin dalle elementari ci hanno insegnato questo semplice 'trucco' per imparare più facilmente: ripetere, ripetere, ripetere. Ripetere per imparare una poesia a memoria, ripetere per memorizzare le formule chimiche, ripetere per ricordare la storia.. Una strategia che, però, sarebbe fallimentare. Secondo un nuovo studio la semplice ripetizione potrebbe interferire con le capacità di memoria. Potrebbe addirittura crearci qualche difficoltà nell'apprendere nuove informazioni su quello stesso argomento che stiamo ripetendo. Ripetere può essere un tranello: ci dà la sensazione di aver imparato qualcosa quando, in realtà, non è così. Nello studio, i ricercatori hanno mostrato più volte ai partecipanti una lista di oggetti, poi li hanno messi di fronte ad oggetti simili ("esche"): coloro che avevano visto gli oggetti più volte riconoscevano più facilmente l'oggetto originale ma trovavano qualche difficoltà con le esche. Insomma, la loro memoria era più forte ma meno precisa. Sembra che succeda questo: quando leggi qualcosa per la prima volta, impari molto. La seconda volta, invece, leggi pensando: “Questo lo so, questo pure, questo l'ho già visto” cioè non stai capendo sul serio la materia, non ne estrai nulla. La ri-lettura e la ripetizione sono insidiose per questo. Perché ti danno la sensazione di sapere tutto, quando, in verità, hai delle lacune. Quindi quando la nostra memoria si inceppa, ecco 3 modi in cui possiamo rafforzarla:
1.    Usare il "Metodo dei loci".
È un metodo molto antico ed è il padre delle tecniche di memoria. Consiste nell'inserire gli oggetti in ordine sequenziale in un mondo 'immaginario', creato apposta dalla nostra mente. Basta che identifichi un percorso o un edificio familiare e inserire proprio lì gli oggetti che devi imparare. Ad esempio, se vuoi memorizzare la parola "Macchina", "Nave", "Cane", tutte insieme, cerca di costruire un'immagine mentale in cui ci siano tutte e tre. Per frasi o parole più complicate, puoi creare una serie di collegamenti tra loro, immaginando cosa possa unire i tuoi soggetti.
2.    Ripetere a intervalli.
Ripetere non fa male. È meglio dire che non sempre è efficace. La cosa migliore sarebbe dare il giusto spazio alla ripetizione e fare delle pause che possano durare da un'ora a una settimana. Continuare a chiedere a te stesso di ricordare alla perfezione una determinata cosa stressa la tua mente, non apporta nulla di più. Quello che può fare bene, invece, è ripetere a intervalli regolari di tempo. Ma quale sarebbe l'arco di tempo più giusto? Tutto dipende dagli impegni. Possiamo ripetere dopo un'ora dal momento in cui abbiamo letto il materiale, poi ancora dopo essere andati in palestra, poi ripassare dopo tre giorni o una settimana.
3.    Collegare i punti.
Il segreto per memorizzare? Capire. In un recente studio neuroscientifico i ricercatori hanno osservato che gli studenti al secondo anno di biologia acquisivano meglio informazioni nuove perché potevano riferirsi a qualcosa che avevano già studiato nel primo anno. Secondo i ricercatori se non sai immediatamente la risposta, puoi provare a 'ripescare' qualcosa che hai imparato in passato su quel determinato argomento. Questo ti aiuta a trovare la risposta giusta. Basta, insomma, collegare i punti della nostra memoria.
Grazie a Ilaria Betti

Are you in Naples? Try - “un caffè sospeso” - a suspended coffee.


When you are in Naples order an usual, dense steaming hot espresso, smell the aroma, then knocked it back in two quick sips. But instead of paying for one coffee you will pay for two, leaving the receipt for the other with the bartender for a stranger to enjoy. That is a suspended coffee. The suspended coffee is a Neapolitan tradition that boomed during World War II and has found a revival in recent years during hard economic times. From Naples, by word of mouth and via the Internet, the gesture has spread throughout  Italy and around the world. In some places in Italy, the generosity now extends to the suspended pizza or sandwich, or even books. Naples is a city well known for its grit, beauty, chaos and crime. Despite those things, or perhaps because of them, its people are also famous for their solidarity in the face of hardship. No one here seems to know precisely when or how the suspended coffee began. But that it started here speaks to the small kindnesses that Italians are known for and also of the special place that coffee occupies in the culture. In a time of hardship, Italians can lack many things, but their coffee is not one of them. So it may be the most common item left at many cafes, as a gift, for people too poor to pay. More than 90 percent of Italian families drink coffee at home, and there is one coffee bar for every 490 Italians, according to a local organization that studies food and drinks. Espresso comes in seemingly infinite forms: “ristretto” (strong), “lungo” (more water), macchiato or “schiumato” (with a bit of milk or milk foam), or “corretto” (a kick of liquor added). Drinking one is an act rigorously performed standing at the counter for a few quick minutes. It naturally sets the passing hours of the day. It is both an intimate and a public ritual. Coffee consumption predated the unification of Italy by more than 200 years, so the rituals and traditions around it are very ancient. In Naples, coffee is a world in itself, both culturally and socially. Coffee is a ritual carried out in solidarity. That solidarity is spreading. In 2010, an ensemble of small Italian cultural festivals gave form to the tradition of generosity by creating the Suspended Coffee Network. The purpose was to weather the severe cuts to the state cultural budgets by organizing and promoting their own activities together. But it also started solidarity initiatives for those in need. Encouraging a donated coffee was one of them. Now, across Italy, the bars that have joined the network display the suspended coffee label in their windows. In participating coffee bars, customers might toss receipts in an unused coffee pot on the counter, where the needy can pull them out and use them. In others, customers pay in advance for an extra coffee, and the cafe keeps a list or hangs the receipts in the shop window.











24/12/2014

Come diventare un infelice D.O.C.?


Secondo una recente ricerca psicologica, quasi il 50 per cento della nostra capacità di essere felici si trova entro il nostro raggio d'azione. Se ciò è vero, allora c'è speranza per tutti, felici ed infelici giacchè si potrebbe stabilire che essere felici o infelici è fondamentalmente una decisione strettamente personale. Ma come si diventa un infelice D.O.C.? Eccovi 7 consigli.
1.    Convinciti che la vita è dura e ingiusta.
La gente felice sa che a volte la vita può esser dura, e nei momenti più difficili tende a oscillare fra la curiosità e il vittimismo. Ci si assume le proprie responsabilità per essersi infilati in una determinata situazione, e ci si concentra sul come uscirne al più presto. La perseveranza nella soluzione dei problemi, invece del lamentarsi delle circostanze avverse, è uno dei sintomi di una persona felice. La persona infelice tende a percepirsi come una vittima della propria vita piuttosto che andare alla ricerca di una via d'uscita.
2.    Non fidarti di nessuno.
Un po' di discernimento è importante, ma è vero anche che la maggior parte della gente felice si fida del prossimo con la convinzione che nelle persone ci sia del buono, e non dando per scontato che tutti cerchino di fregarti. La gente felice, solitamente aperta ed amichevole nei confronti di coloro che incontra, genera intorno a sé un senso di comunità, e accoglie le nuove conoscenze a cuore aperto. La gente infelice è diffidente nei confronti di gran parte di coloro che incontra, e presume automaticamente che dell'estraneo non ci sia da fidarsi. Questo genere di comportamento fa sì da precludere lentamente qualunque legame al di fuori della propria cerchia interna, pregiudicando ogni possibilità di creare nuovi vincoli.
3.    Concentrati su ciò che non va nel mondo.
Nel mondo c'è parecchio che non va; tuttavia gli infelici si rendono ciechi di fronte a ciò che c'è davvero di buono, concentrandosi su quanto c'è di sbagliato. Sono quelli che si lamentano, reagendo ad ogni risvolto positivo con un “ma” o un “però”. La gente felice è ben consapevole dei problemi globali, ma controbilancia le proprie preoccupazioni constatando quanto c'è di buono; hanno entrambi gli occhi ben aperti. Gli infelici ne chiudono uno di fronte a tutto ciò che va bene, nel timore che li distragga da ciò che non va. Le persone felici mettono le cose in prospettiva. Sono consapevoli del fatto che questo nostro mondo abbia i suoi problemi, ma non perdono di vista ciò che va bene.
4.    Paragonati agli altri e cova invidia.
Gli infelici ritengono che il benessere del prossimo li depauperi del proprio. Sono convinti che non ce ne sia abbastanza per tutti, e confrontano costantemente la propria fortuna con quella degli altri. Cosa che conduce all'invidia e al risentimento. La gente felice sa che la fortuna e le buone occasioni degli altri non sono altro che la dimostrazione di quello a cui si può concretamente aspirare. La gente felice è convinta che le loro possibilità siano illimitate, e non finiscono con l'impantanarsi nel pensiero che, nella vita, la buona stella di qualcuno oscuri la propria.
5.    Sforzati di tenere tutta la tua vita sotto controllo.
C'è una differenza fra tenere le cose sotto controllo e sforzarsi di raggiungere i propri obiettivi. La gente felice compie passi quotidiani per raggiungerli, ma sa bene che in fin dei conti c'è poco da controllare di fronte ai casi della vita. Gli infelici tendono invece ad amministrare ogni dettaglio, sforzandosi di prevedere ciascuna possibile conseguenza, ma quando poi la vita mette loro i bastoni fra le ruote finiscono col cadere platealmente a pezzi. La gente felice è altrettanto capace di concentrarsi, pur essendo in grado di seguire il flusso, e di non crollare quando la vita tira un colpo basso. Il succo in questo caso è cercare di puntare agli obiettivi e restare concentrati, ma anche saper accettare il momento difficile senza abbattersi se i propri minuziosi programmi vanno a gambe all'aria, perché è così che funziona. Seguire il flusso è il piano B delle persone felici.
6.    Guarda al futuro con preoccupazione e con timore.
Lo spazio nella tua mente non è infinito. Gli infelici lo riempiono con pensieri su ciò che potrebbe andar male, e non con ciò che potrebbe andare per il verso giusto. Le persone felici accettano le delusioni quando arrivano, ma si concedono di sognare a occhi aperti ciò che vorrebbero potersi aspettare dalla vita. Gli infelici riempiono quello stesso spazio con un senso costante di preoccupazione e timore. Anche le persone felici provano timori e preoccupazioni, ma compiono una distinzione importante fra il percepirli e l'esperirli. Quando il timore o la preoccupazione s'affaccia nella loro testa, si chiedono se sia possibile fare qualcosa per prevenirli, e lo fanno. In caso contrario, si rendono conto di essere caduti in un vortice di paura, e la lasciano andare.
7.    Riempi le tue conversazioni di pettegolezzi e lamentele.
Gli infelici prediligono vivere nel passato. Quanto gli è accaduto, le difficoltà che hanno incontrato: sono questi i loro argomenti preferiti. E quando non hanno più niente da dire, si concentrano sulle vite degli altri, e iniziano a spettegolare. La gente felice vive nel presente e sogna il futuro. Le loro vibrazioni positive si avvertono subito. Sono entusiasti di qualcosa a cui stanno lavorando, grati di ciò che hanno, e sognano ciò che la vita potrebbe portare loro. Ovviamente nessuno di noi è perfetto. Ogni tanto capita che ci si tuffi nelle acque della negatività, ma ciò che conta è quanto si rimane ammollo, e quanto in fretta si riemerge. Ciò che distingue la gente felice dagli infelici è una pratica quotidiana delle abitudini positive e di non il fare tutto in modo perfetto.
Grazie a Tamara Star

23/12/2014

Il catalogo delle malattie dello spirito.



 

La prima piaga: sentirsi immortali
La «malattia del sentirsi immortali, immuni da difetti, trascurando i controlli», che deriva spesso «dalla patologia del potere, dal narcisismo che guarda soltanto la propria immagine non tenendo conto degli altri, soprattutto «dei più deboli». Ma un corpo che non fa «autocritica, non aggiorna e non cerca di migliorarsi, è un corpo infermo». Si suggerisce anche una «ordinaria visita ai cimiteri, dove vedrete i nomi di tante persone che si consideravano immuni e indispensabili».
La seconda piaga: l’eccesso di operosità
La «malattia del martalismo, che viene da Marta, la malattia della eccessiva operosità», di coloro che «si immergono nel lavoro trascurando inevitabilmente tutto ciò che li circonda». Sbagliato rinunciare al riposo «da trascorrere con i familiari», sbagliato non «rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica».

La terza piaga: l’impietrimento e l’iperpianificazione
La malattia di «coloro che perdono i sentimenti», diventando macchine di pratiche: «Il cuore col tempo si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente»; è la «malattia della eccessiva pianificazione e funzionalismo, «quando si pianifica tutto minuziosamente e si crede che le cose progrediscono diventando così contabili o commercialisti: preparare tutto e bene è necessario, ma senza voler mai rinchiudere e pilotare la libertà dello spirito che è più generosa di ogni pianificazione».

La quarta piaga: il mal da coordinamento
La malattia «del coordinamento», quando il corpo «smarrisce la sua armoniosa funzionalità» e si trasforma in «un’orchestra che produce chiasso».

La quinta piaga: la dimenticanza, l’Alzheimer spirituale
«Un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie». Dipendenza «da passioni, capricci e manie», schiavitù «dagli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani».
La sesta piaga: la vanagloria
La «rivalità e la vanagloria», che scatta quando «l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita».

La settima piaga: la «schizofrenia esistenziale»
«La malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che si limitano alle faccende burocratiche, perdendo il contatto con la realtà, con le persone concrete».

L’ottava piaga: le chiacchiere
Le «chiacchiere e pettegolezzi» sono tra i mali da evitare. Quelle parole che trasformano una persona in «seminatrice di zizzania» e «omicida a sangue freddo della fama dei propri colleghi e confratelli», fino a diventare «terrorismo delle chiacchiere».

La nona piaga: le gerarchie ammalate
«Divinizzare i capi» e adularli, con gli stessi capi che a loro volta «corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica».

La decima piaga: l’indifferenza verso gli altri e il pessimismo
La «malattia della faccia funerea», tipica «delle persone burbere e arcigne, che ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri, soprattutto quelli ritenuti inferiori, con rigidità, durezza e arroganza». «La severità teatrale e il pessimismo sterile sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. Bisogna sforzarsi di essere personi cortesi, serene, entusiaste e allegri che trasmettano gioia ovunque si trovino. Un cuore felice che irradi e contagi con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé».

L’undicesima piaga: l’accumulo di beni materiali
La «malattia dell’accumulare» beni materiali. Un segno di questa malattia «sono i nostri traslochi».

La dodicesima piaga: i gruppetti che diventano «cancro»
I «circoli chiusi»: l’appartenenza a un gruppetto diventa più forte di quella al corpo al punto da poter trasformarsi in un «cancro» che devasta il corpo.

La tredicesima piaga: il profitto e gli esibizionismi
«La malattia del profitto mondano e degli esibizionismi», evidente «quando trasformiamo il nostro servizio in potere, e il nostro potere in merce per ottenere profitti mondani o ulteriori poteri». Le persone che ne soffrono «cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri».

Grazie a Papa Francesco
Buon Natale!

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