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31/05/2018

Il nostro grande mappatore…


Le mappe mentali sono un metodo molto efficace che il nostro cervello usa per elaborare, classificare e memorizzare informazioni su un argomento specifico. Farne uso facilita non solo l'apprendimento ma anche la soluzione di problemi in quanto evidenziano l’aspetto più importante di un argomento stabilendo l'ordine delle informazioni affinché le nuove idee possano essere più facilmente comprese e assimilate.

Una mappa mentale si avvale di due principi fondamentali del pensiero progettuale:

“Scegliere meglio quando si ha molte buone idee tra cui scegliere.”
“Non scegliere mai la prima idea che ci viene in mente.”

In altre parole, anche se abbiamo un’idea, probabilmente non è quella che vogliamo in definitiva mettere in pratica. Prendiamoci un po’ più di tempo e siamo più creativi; probabilmente sorgerà qualche idea migliore.

Ecco come iniziare:
1.       Scegliamo un argomento
2.       Scegliamo qualcosa che ci dia piacere
3.       Scriviamo cinque cose relative all’argomento scelto
4.       Scriviamo tre parole per ogni delle cinque già scritte
5.       Creiamo collegamenti secondari
6.       Evidenziamo alcune parole secondarie che riteniamo significative.
7.       Cerchiamo di fonderle in nuove idee.

“Spesso dobbiamo prendere in considerazione le idee più irrealizzabili prima di arrivare a quelle realizzabili”.

“Non dobbiamo avere paura delle idee folli. Potrebbero essere il punto di svolta verso qualcosa di veramente nuovo”.

29/05/2018

El “nuevo” educador no está solo…



Cada vez que escribo o mejor dicho, escribimos sobre la “nueva” educación, nos referimos prevalentemente a la figura del educador. Sin duda él es el centro de partida de todo necesario cambio en los paradigmas educativos. Sin embargo, el educador por más creativo, apasionado y novedoso que sea, hace parte de una estructura educativa con una jerarquía bien definida. Al tope de esa pirámide jerárquica se encuentra otra figura que juega un papel determinante en el contexto educativo: El director.

La figura del director es fundamental. Un educador con novedosas y brillantes ideas tendrá que confrontarse siempre con su superior, el director. La afinidad de visiones entre ellos es la que permitirá abrir las puertas a un infinito mundo de innovaciones en ese centro educativo.
Para ello un director que quiera lograr esa innovación deberá tener las siguientes características:

1. Capacidad de análisis. Detectar las fortalezas y debilidades del centro escolar resulta clave a la hora de innovar. Es importante que sepa identificar, analizar e interpretar las características de su escuela, no solo desde el punto de vista académico, sino también teniendo en cuenta a toda la comunidad educativa, los factores ambientales, sociales y culturales que la definen.

2. Previsión y proyección. Es importante que sea capaz de ver más allá y prever problemas y oportunidades. Innovar supone dar un paso hacia el futuro, por lo que necesita poseer la capacidad de comprender y adelantarse a las situaciones.

3. Liderazgo democrático. Debe ejercer una influencia que ayude a incentivar el trabajo de todos por un objetivo común. Debe ser un líder que toma decisiones, inspira a los componentes del equipo, fija metas comunes y cuenta con el respeto y el apoyo del grupo. Sin imponerse ni quedarse en segundo plano, sino que apoyando constantemente el debate y el intercambio de opiniones del equipo.

4. Destrezas comunicativas. Para liderar el cambio y llevar a buen término el trabajo en equipo no es suficiente tener buenas ideas y contar con una planificación adecuada. Es necesario transmitirlas, presentar el planteamiento de tal manera que involucre, motive y convenza al grupo. Poseer una buena Inteligencia Comunicacional es esencial para ello, así como para explicar órdenes, formas de trabajo y líneas de actuación, afrontar situaciones complicadas y solucionar problemas.

5. Empatía. Tiene que escuchar a su equipo, ponerse en el lugar de sus integrantes, comprender lo que les preocupa y reaccionar ante las dificultades que puedan surgir a lo largo del proceso. Para que el cambio sea realmente eficaz no sirven bandos enfrentados, sino trabajar unidos y, en ese diálogo y colaboración, la empatía cumple un rol fundamental.

6. Firmeza y flexibilidad. La innovación implica cambios y requiere que toda la comunidad educativa salga de su zona de confort y se embarque en una aventura emocionante, exigente y en cierto aspecto desconocida. El “nuevo” director debe mantenerse firme en las decisiones tomadas e involucrar a su equipo para llevarlas a cabo, con flexibilidad para afrontar y corregir errores o situaciones inesperadas.

7. Reflexión y capacidad crítica. Un centro educativo innovador avanza y cambia constantemente, por eso es necesario que el “nuevo” director impulse siempre la reflexión, la crítica y la autocrítica.

Innovación implica transformación, por ello se deben monitorear constantemente los logros para seguir avanzando e incorporando cambios y mejoras.


21/05/2018

Mi piace, non mi piace, mi dispiace…



Uno dei vantaggi di possedere una solida Intelligenza Emozionale è che riusciamo, inconsciamente, a regolare due caratteristiche: cordialità e competenza. Caratteristiche da non sottovalutare, che ci aiutano ad avere una miglior qualità di vita in quanto migliorano la nostra comunicazione interpersonale.

Una persona piacevole ha le seguenti caratteristiche:

Guarda negli occhi
Le persone hanno bisogno di sentire che sono ascoltate. Un modo semplice per mostrare che stiamo dando attenzione è guardare negli occhi al nostro interlocutore mentre ci parla. È anche un modo efficace per trasmettere competenza e intelligenza.
Sorride
Un altro semplice ed efficace modo di trasmettere cordialità. Fa parte di un linguaggio fisico positivo.
Mostra entusiasmo
Entusiasmo ed energia non solo attirano l’attenzione, ma sono anche contagiosi.
Ignora il cellulare
Finché la conversazione non è finita, nessuna interruzione.
Da una stretta di mano ferma
Una ricerca mostra come il nostro cervello decida dopo pochi secondi, se la persona incontrata piace oppure no. Una stretta di mano di giusta intensità può contribuire molto a questa prima impressione.
Chiama le persone per nome
Durante una conversazione, al nostro cervello piace sentire il suono del suo nome. Le persone apprezzano quando ricordiamo il loro nome; è un segno di rispetto e di profondità di pensiero.
Ascolta attivamente
Ascolta, interpreta, valuta, risponde.
Sa accettare un complimento
Accetta un complimento senza sembrare egocentrico.
Sa lodare
Congratulare colpisce le persone direttamente nel loro ego ed è quindi molto efficace però richiede un giusto senso della misura.
Non interrompe
Quando ci interrompono, rimaniamo scomodamente in sospeso, chiedendoci se qualcuno ci stava veramente ascoltando. Non interrompere fa sentire al nostro interlocutore a suo agio e apprezzato.
E’ comprensivo
Quando qualcuno ci racconta qualcosa di spiacevole che gli è successo, è un modo efficace di mostrare empatia. Trasmettere comprensione verso il vissuto dell’altro, aumenta la fiducia.
E’ aperto
Condividere non tanto esperienze ma bensì emozioni, aiuta a creare una buona conversazione.
Ha una buona postura
Il linguaggio fisico è tanto o più importante del verbale. Una cattiva postura manda un messaggio di apatia o disinteresse nei confronti dell’altro.
Mantiene la sua parola
Tra il dire e il fare, per una persona piacevole, non c’è il mare. La coerenza trasmette fiducia.
Non si lamenta
Nessuno vuole avere intorno a sé persone negative. Le lagne allontanano.
Fa sentire tutti a suo agio
Durante una conversazione di gruppo, la persona piacevole considera chiunque sia coinvolto in essa, senza distinzioni.
Non giudica
I giudizi spesso provengono da una struttura istintiva del nostro cervello. Ciò può portare a valutazioni superficiali e non ragionate su qualcuno o qualcosa.
Sa concludere
Le parole conclusive di una conversazione possono lasciare una impressione duratura su una persona.

Non è così facile, ci si deve allenare ma può fare la differenza.

                                                                                                                    

LA LA BRAIN...



Music is music for the brain

It builds language skills. As they learn their instrument, children become accustomed to different sounds that they would not have recognized before. This practice trains their ears for the nuances and subtle sounds of language.


It makes them stronger academically. Researchers have found connections between music lessons and nearly every measure of academic achievement. Music also improves their powers of recall for powerful learning in all subjects.

It increases their IQ. Numerous studies have proven that children’s IQs increase after a few weeks of music lessons. Brain scan technology reveals that brain activity increases following musical training, and some parts of the brain grow larger.

It teaches them discipline. Music lessons require hours of concentration and patience. Children must persevere even when things are not going well. That is an invaluable skill for all areas of their life.

It supports muscle development and motor skills. Children must use their whole bodies to keep the rhythm going when they play. They also must coordinate different motions with their hands at the same time. They develop strength and coordination.

It improves social skills. If children play in a group, they have to learn to work together to achieve a common goal, exercising tolerance, patience, and encouragement towards their peers.

It makes kids feel good about themselves. There is nothing quite like the sense of pride that comes from working on building a new skill for an extended period, especially when the result is music.

It helps kids understand culture. By learning music from various parts of the globe, students come to understand different cultures.

It brings joy. When children can play music, it makes them happy. The most important aspect.

Vale la pena desarrollarla…




Vivimos en un mundo frenético que nos exige resultados inmediatos y tener todo bajo control, evitando la espera. Exigencias irreales y dañinas para nuestro cerebro. Ejercer la paciencia es un saludable ejercicio de fuerza y coraje.

Paciencia deriva del latín <patiens>: el que padece. Capacidad de padecer o soportar algo sin alterarse; facultad de saber esperar.

Nuestro mundo actual se basa en la impaciencia, la inmediatez: necesitamos saber, conocer u obtener resultados inmediatos y sufrimos mientras esperamos: un hábito muy pernicioso para nuestro cerebro que puede convertirse en un espejismo y llevarnos a considerar como presente y seguro algo que está todavía por venir. Las expectativas (y el manejo de irrealidades) generalmente derivan en frustración y depresión. 

La paciencia no es innata, es otra habilidad transversal (soft skill) que debemos desarrollar durante nuestra vida. Nosotros nacemos impacientes. Los bebés lloran cuando tienen hambre. No saben esperar, no toleran la insatisfacción inmediata de una necesidad primaria: el comer. Con el tiempo van aprendiendo que, aunque tarde un poco, finalmente les darán de comer. Comienzan a aceptar sin llorar, el sufrimiento del hambre, porque saben que llegará. El cerebro del niño es impaciente por naturaleza y uno de los motivos es que casi nada depende de él, casi nada está bajo su control.
Con los años, cada vez podemos (o creemos poder) controlar más las situaciones, pero habituarse al control fomenta la impaciencia. La paciencia hay que entrenarla, aprendiendo a tolerar el sufrimiento que provoca el desconocimiento, la incertidumbre, el descontrol.

En la sociedad de la inmediatez, la satisfacción de un deseo de forma casi automática se ha convertido en una nueva droga. Nuestro cerebro, cuando esa satisfacción acontece, genera dos mecanismos: por una parte, placer, refuerza los circuitos de recompensa y fomenta el seguir en la búsqueda constante de nuevas sensaciones placenteras que ofrecen la obtención de otros objetivos; por otra parte, pone en marcha mecanismos de evitación del dolor.

El problema es que nuestro cerebro no está preparado para estar en una situación de alerta constante; se desgasta. El ocio y el sueño evitan ese desgaste pero por causa de la impaciencia, cada vez ociamos y dormimos menos.

Por otra parte se ha desvirtuado el concepto de necesidad (de la cual es imposible sustraerse), confundiéndolo con el de deseo. Desear no es necesitar. La elevación del deseo a la categoría de necesidad conlleva ciertos riesgos, pues lo que sería simplemente una carencia, se convierte en una urgencia: nuestro cerebro de esa manera confunde objetivos deseables con objetivos necesarios. 

En las sociedades occidentales, la paciencia es vista como un signo de debilidad.

Los poderosos, los ganadores (¿de qué?) no esperan.
El impaciente considera que el objetivo es la meta, cuando en realidad el objetivo es el punto de partida.

La paciencia es nuestra amiga protectora que nos permite atravesar situaciones adversas sin derrumbarnos. La paciencia no es apatía, ni resignación; no es falta de compromiso, no es estática. El que espera con calma lo hace activamente, se rebela y afronta la dificultad. La espera activa implica esperanza y coraje, fijando su mirada en el largo plazo.

Debemos aprender a recapacitar, a reorganizar (tiempos y prioridades), a reflexionar. Comprender que algunas cosas pueden esperar sin producirnos sufrimiento y aprender a saborear el placer de la espera.
“La paciencia es la compañera de la sabiduría.” San Agustín

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